Decommissioning

Il decommissioning (smantellamento) di un impianto nucleare rappresenta l’ultima fase del suo ciclo di vita dopo la costruzione e l’esercizio.

In termini generali, il decommissioning comprende l’allontanamento del combustibile e la caratterizzazione radiologica degli impianti, la decontaminazione delle strutture, la demolizione degli edifici e, infine, la caratterizzazione radiologica del sito. Tutte queste operazioni vengono svolte mantenendo sempre in sicurezza gli impianti nei quali si lavora. 

Il decommissioning si caratterizza anche per la gestione dei rifiuti radioattivi, che sono stoccati in appositi depositi temporanei, e di tutti gli altri materiali prodotti dallo smantellamento, come ferro, rame o calcestruzzo, che vengono allontanati dal sito per essere recuperati e riciclati.

Quando tutte le strutture dell’impianto sono demolite e tutti i rifiuti radioattivi sono condizionati e stoccati nei depositi temporanei, pronti per essere trasferiti al Deposito Nazionale, si raggiunge una fase intermedia definita “brown field” (prato marrone).

Dopo il graduale conferimento dei rifiuti radioattivi al Deposito Nazionale, si procede anche con lo smantellamento dei depositi temporanei.

A questo punto l’area, una volta verificata l’assenza dei vincoli di natura radiologica, raggiunge lo stato di “green field” (prato verde) che consente di restituire il sito alla collettività per il suo riutilizzo. 
Centrale di Caorso - Smantellamento e decontaminazione dei componenti dell'edificio turbina
Smantellamento e decontaminazione dei componenti dell'edificio turbina della centrale nucleare di Caorso
Il decommissioning rappresenta una sfida ingegneristica perché gli impianti nucleari italiani, tutti diversi fra loro, erano stati progettati senza tener conto della necessità di smantellarli alla fine del loro ciclo di vita. Ciò comporta una complessa pianificazione, in quanto i programmi di decommissioning devono avanzare parallelamente, e lo sviluppo di soluzioni tecnologiche specifiche, molto spesso prototipali, che non sono replicabili su scala industriale. 

Il piano complessivo di smantellamento degli impianti nucleari italiani è stato sottoposto nel 2017 alla revisione​ dell’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) che nel suo rapporto finale ha sottolineato l’approccio “solido” dei programmi di disattivazione di Sogin, in linea con le migliori pratiche internazionali. Nel 2018 l’Agenzia ha poi realizzato una Technical Review sui progetti Sogin per lo smantellamento del reattore (vessel e internals) delle centrali nucleari di Trino e Garigliano.

Storia del decommissioning in Italia

L’Italia, con la scelta di fermare la produzione di energia da fonte nucleare nel 1987, è stata tra i primi Paesi al mondo a confrontarsi con il decommissioning nucleare.

In seguito al referendum del 1987, l’Italia ha fermato, infatti, l’esercizio delle centrali nucleari di Latina, Trino (Vercelli) e Caorso (Piacenza), che venivano messe di fatto nella condizione di “safe store” (custodia protettiva passiva), già prevista per la centrale del Garigliano, chiusa nel 1982. Stesso destino è toccato agli impianti del ciclo del combustibile di Saluggia (Vercelli), Casaccia (Roma) e Rotondella (Matera) e all’impianto di fabbricazione del combustibile nucleare di Bosco Marengo (Alessandria).
Sono stati, inoltre, interrotti i lavori di costruzione delle centrali di Montalto di Castro e di Trino 2, emtrambe pertanto mai entrate in funzione.
La costruzione della Centrale di Latina
Costruzione della centrale nucleare di Latina
La condizione di “custodia protettiva passiva” di un impianto nucleare corrisponde a quanto previsto a livello internazionale dal “deferred dismantling” (smantellamento differito).

Questo approccio considera l’inizio delle attività di decontaminazione e smantellamento degli impianti al termine di un periodo di alcuni decenni. Durante questo arco temporale ci si limita a mantenere in sicurezza le infrastrutture, consentendo il decadimento naturale di buona parte della radioattività presente nell’impianto e, al contempo, la definizione di un quadro finanziario certo sulla copertura dei costi associata all’individuazione di una chiara strategia di smaltimento dei rifiuti radioattivi. 

Nel 1999, con l’avvio della liberalizzazione del settore elettrico, la privatizzazione e la quotazione parziale dell’ex monopolista, all'ipotesi dello "smantellamento differito" è subentrata quella del "decommissioning accelerato", ovvero l'avvio immediato del decommissioning degli impianti. Inoltre, era prevista l’individuazione di un Deposito Nazionale ove collocare i rifiuti radioattivi prodotti dallo smantellamento.

È così stata creata Sogin con il compito di smantellare le quattro centrali di Trino, Latina, Caorso e Garigliano alle quali si sono aggiunti, nel 2003 gli impianti di ricerca sul ciclo del combustibile, Eurex di Saluggia, Itrec di Rotondella e Opec e Ipu di Casaccia, e, nel 2005, l’impianto di fabbricazione del combustibile di Bosco Marengo.

Nei primi anni, le attività di Sogin si sono concentrate nella progettazione degli interventi e sull’avvio dei relativi iter autorizzativi.
Sogin è fra i primi operatori internazionali a confrontarsi con una serie di fattori quali:

  • la scelta della strategia di gestione del combustibile, che passa dall’iniziale orientamento per lo stoccaggio a secco al riprocessamento all’estero;
  • iter autorizzativi complessi, caratterizzati da una molteplicità di passaggi burocratico-amministrativi;
  • vetustà degli impianti, che richiedono un attento mantenimento in sicurezza con molti interventi straordinari non previsti;
  • attività di progettazione e committenza spesso più complesse di quanto originariamente stimato;
  • la necessità di riorientare regolamenti, risorse e know-how dalle attività di esercizio a quelle di decommissioning.
L’esperienza maturata e le competenze acquisite da Sogin nei suoi vent’anni di vita le permettono oggi di individuare le migliori soluzioni tecnologiche per portare avanti in completa sicurezza lo smantellamento degli impianti nucleari e la gestione dei rifiuti radioattivi.

I risultati raggiunti finora dimostrano che l’Italia sta affrontando questa sfida con successo.